Il trust in Italia: definizione e luoghi comuni

Il trust in Italia: definizione e luoghi comuni

Strumento giuridico poco conosciuto in Italia, è spesso frainteso. Non serve a proteggere i patrimoni, è invece un tipo di contratto molto duttile con cui si può regolare la gestione del proprio patrimonio nel tempo, in maniera programmatica e mirata.

1  Il trust: facciamo chiarezza

Il trust può essere definito in sintesi come uno strumento di gestione del patrimonio finalizzata alla realizzazione di un programma nell’interesse di uno o più soggetti.

È uno strumento giuridico poco conosciuto in Italia e spesso frainteso: lo si capisce già dalla definizione che abbiamo appena dato, se messa a confronto con luoghi comuni e aspettative inverosimili che spesso lo accompagnano.

Soprattutto quelle per cui il trust sarebbe una sorta di panacea di tutti i mali, con cui proteggere i propri patrimoni – magari, quando già si è in difficoltà.

Il trust non è questo. O per meglio dire: è molto di più (tra l’altro, per la semplice protezione esistono già, pur con tutti i loro limiti, i fondi patrimoniali).

È un tipo di contratto molto duttile con cui si può regolare la gestione del proprio patrimonio in maniera programmatica, mirata, adattabile, prolungata nel tempo. Per questo motivo, il trust può incrociare i propri scopi con le successioni e il diritto di famiglia, la gestione commerciale di aziende, la loro liquidazione e molto altro.

Non ne possono esistere due uguali, il trust va costruito su misura, come un abito sartoriale, perché unico è il programma che si prefigge di realizzare.

2. Uno strumento utile e sfaccettato

Ripartiamo allora dalla definizione iniziale, e soffermiamoci un attimo su di essa.

Gestione. Il patrimonio è gestito, non semplicemente protetto. La differenza tra i due scopi è notevole: gestire significa “amministrare beni o interessi per conto d’altri”, mentre proteggere vuol dire “coprire qualcosa o qualcuno per difendere, riparare da pericoli esterni”. Occorre sottolineare che la gestione è “per conto di…”: come vedremo, un‘altra caratteristica fondamentale del trust è che chi lo dispone trasferisce i suoi beni all’amministratore.

Se il trust riguarda la gestione e non la protezione, la protezione del patrimonio è la conseguenza naturale della sua gestione nei termini individuati. Questo, perché nel trust il patrimonio è vincolato alla realizzazione di un piano programmatico (finalizzato alla realizzazione di un programma) e la protezione del patrimonio discende dal vincolo stesso.

Inoltre, la realizzazione del programma è fatta nell’interesse di uno o più soggetti. I cosiddetti beneficiari hanno un ruolo fondamentale nella definizione del trust – e nella sua differenziazione rispetto alla volontà di semplice difesa del patrimonio, dove ovviamente di beneficiari non ce ne sono, e in questo senso diventa tautologica.

Un altro elemento utile per capire l’essenza del trust a monte del suo profilo tecnico, è inquadrarlo nel contesto più ampio dell’antropologia culturale e della storia.

Usiamo un’analogia tanto semplice quanto adatta allo scopo.

Immaginiamo una popolazione tormentata da un periodo storico ricco di conflitti, con gli uomini continuamente costretti a partire per lunghe campagne militari, con tutti i rischi che sappiamo.

Ecco – aiutati anche dall’immaginario filmico e letterario – non ci sarà difficile pensare a un momento in cui il padre di famiglia, prima della partenza, investe una persona di sua fiducia a vegliare sui suoi cari e il suo patrimonio durante l’assenza, indicandogli anche che cosa fare e come comportarsi nel caso in cui non dovesse tornare.

Questo è un perfetto esempio di trust. Perché non è un semplice lascito: è una sorta di designazione ad agire per proprio conto, delineando già alcuni scenari probabili, e come reagire a seconda di essi.

Si parla di trust (fiducia) proprio per questo: senza fiducia nei confronti della persona a cui si affidano i propri beni, viene meno un elemento fondamentale del contratto (non solo: se l’amministratore non è persona davvero fidata, potenzialmente potrebbe agire in malafede).

Attenzione, quindi, alle false promesse di protezione e inattaccabilità del patrimonio che vengono da consulenti spregiudicati, che magari incontrate per la prima volta, perché trovati su internet o indicati dall’amico al bar.

3. I protagonisti

Per capire in pratica come funziona questo contratto, si può partire dai suoi protagonisti.

Nel trust ci sono infatti tre soggetti principali (e per essere tale, il trust deve prevederli tutti)

  1. disponente (la persona che dispone del proprio patrimonio)
  2. trustee (l’amministratore incaricato di gestire il patrimonio)
  3. beneficiari (le persone a favore delle quali il patrimonio è disposto e gestito)

A queste tre figure si aggiunge il guardiano: una persona (anch’essa di fiducia), che controlla l’operato dell’amministratore.

Le figure possono coincidere, nel senso che il disponente può anche essere trustee e/o uno dei beneficiari (ma non può rivestire tutte e tre le posizioni giuridiche contemporaneamente) e/o guardiano.

Anche nei trust più semplici, riveste una considerevole importanza determinare le regole di nomina e sostituzione del trustee e del guardiano oltre alla definizione dei poteri di cui sono rispettivamente investiti tali soggetti; ciò in quanto il trust deve funzionare anche nell’ipotesi in cui tali soggetti vengano a mancare per qualsiasi ragione (dimissioni, revoca, incapacità sopravventa, ecc)

Immaginate un trust di famiglia con finalità successoria con il quale il disponente vincola il proprio patrimonio (azienda, immobili, società, ecc.) a vantaggio dei suoi discendenti, assumendo la funzione di trustee per mantenere il controllo e la gestione di tutto finché è in vita e che poi a causa dell’età, di malattia, di infortunio o altro motivo, non sia più in grado di compiere alcun atto di gestione, che succede del trust, del patrimonio e del famoso programma?

4. Lo scopo del trust

Come detto, il trust serve a far gestire in maniera programmatica il proprio patrimonio, a beneficio di altri.

Il programmo è il cuore, l’essenza del trust: senza programma non c’è trust! Quasi tutti gli atti di trust finiti sul tavolo di un giudice sono stati dichiarati invalidi proprio perché mancanti di un programma o con un programma illecito (sottrazione dei beni ai creditori del disponente)

Per questo motivo, nella pratica prima ancora di entrare negli aspetti tecnici organizziamo incontri successivi con il disponente ed eventualmente la sua famiglia, per mettere in luce tutte le motivazioni e i possibili nodi da considerare: un momento a tutti gli effetti di puro ascolto e confronto.

La scrittura del contratto dev’essere in grado di tradurre in termini giuridici le esigenze di chi lo stipula, anche quelle a cui magari non aveva minimamente pensato. Senza tenere conto degli aspetti relazionali e prettamente umani, questo diventa difficile.

Tutto quanto sopra riferito porta all’evidente conclusione che non possono esistere due trust uguali, perché difficilmente potremmo avere due programmi identici: le esigenze di ciascuno sono troppo individuali e legate alla situazione personale. Posso avere un figlio disabile da tutelare, una famiglia di fatto da tutelare, un patrimonio particolarmente complesso da amministrare che richiede la nomina di soggetti con competenze tecniche altamente qualificate, posso voler tutelare anche il mio cane o il mio gatto, ecc.

5. Esempi di trust

Se il trust serve a garantire la gestione programmatica del patrimonio, va da sé che questa gestione può adattarsi a diversi contesti

  • la vita delle società (o la loro liquidazione)
  • la successione e il futuro di una famiglia
  • il futuro di una coppia di conviventi
  • la gestione di un progetto di beneficienza

E molto altro.

Facciamo l’esempio più semplice, quello in cui il trust serve a gestire un patrimonio di famiglia.

Grazie a questo contratto, a differenza che con la semplice successione (dove il patrimonio è diviso secondo le disposizioni testamentarie o la legge e poi ognuno ne fa quel che vuole), con il trust si possono disciplinare i possibili scenari futuri e il modo di gestire il patrimonio all’interno e a seconda di questi scenari.

Ecco qualche caso a puro titolo esemplificativo:

  • posso tutelare un figlio problematico, facendo in modo che non dilapidi il patrimonio o che non gli venga sottratto fraudolentemente, stabilendo che l’amministratore lo gestisca, attribuendogli il necessario per vivere in maniera tranquilla e dignitosa senza rischiare tracolli economici;
  • posso tutelare la mia stessa vecchiaia, stabilendo che fin che sono in vita mi devono essere garantite condizioni di vita e cure adeguate alle mie aspettative;
  • posso disporre che la società di famiglia sia gestita da professionisti qualificati, evitando il rischio che eredi poco competenti ne mettano a repentaglio la stabilità;
  • posso porre alcune “variabili”: per esempio, che finché un determinato erede è in vita si applica una gestione orientata a principi particolari, che poi muta dopo la sua scomparsa (o magari, può addirittura decadere il trust)

 

6. Struttura e caratteristiche tecniche

Il trust è riconosciuto dalla convenzione dell’Aja del 1985, ma non c’è una legge italiana che lo regola specificamente.

Per questo, al suo interno bisogna fare riferimento a leggi straniere, molto spesso del mondo anglosassone: e come sappiamo, la legge dei paesi anglosassoni è caratterizzata dai “precedenti” (common law). Di conseguenza, non è semplice maneggiare il trust, perché bisogna studiare e conoscere i riferimenti che si usano. E un loro uso superficiale può diventare molto pericoloso.

Come è fatto un contratto di trust?

Semplificando, troviamo tre sezioni principali

  1. Le premesse. Importanti per contestualizzare e motivare il contratto.
  2. Il programma: coerente con le premesse e quindi legato allo stato attuale e ai motivi e che muovono il disponente a destinare un certo patrimonio ad un determinato scopo.
  3. Le regole di funzionamento e di gestione: è il cuore del contratto e la parte più articolata. D’altro canto, se da un lato la duttilità del trust lo rende uno strumento prezioso, dall’altro lato rende molto complessa la sua stesura corretta: bisogna considerare tutti i possibili scenari, ed evitare sia di dare regole troppo restrittive (che vanificherebbero il raggiungimento dello scopo), sia di trascurare aspetti importanti.

7. Qualche appunto

  1. Quando si dispone del proprio patrimonio in un trust, lo si attribuisce all’amministratore: tecnicamente non è più del disponente anche se questi assume il ruolo di trustee, ma dei beneficiari (tra i quali può esservi il disponente stesso).
  2. L’amministratore, proprio perché deve gestire e non semplicemente custodire, deve essere scelto con cautela: la fiducia è il fondamento dell’istituto; quindi quando il famoso consulente vi propone la sua Trust Company ricordatevi che in Italia non esiste una legge che disciplini tale attività, come per esempio per le società fiduciarie, è meglio allora rivolgersi a società dotate di propri patrimoni adeguati, di assicurazioni e di strumenti di controllo indipendenti adeguati.
  3. Anche solo alla luce delle prime due note, emerge con chiarezza quanto sia sbagliato intendere il trust come semplice strumento di protezione dei propri averi.
  4. Chi dispone può anche designare se stesso come amministratore oppure come beneficiario, finché è in vita (ma non entrambe le cose, ovviamente)
  5. Si può liberamente stabilire la durata del trust, anche in relazione ad avvenimenti o variabili.
  6. Si può e si deve regolare anche la sostituzione del trustee e del guardiano, per qualunque evenienza.
  7. Il trust è un contratto complicato, sensibile e – di conseguenza – oneroso. Dunque, è tanto più consigliabile quanto più sono ingenti o articolati i patrimoni da gestire; va da sé che l’attività di consulenza necessaria per redigere un simile contratto è talmente complessa e laboriosa da giustificare costi elevati; diffidate di chi propone trust a costi economici, il trust non è un prestampato da sottoscrivere in calce, né può essere predisposto in quattro e quattr’otto dal collaboratore di studio. Un abito sartoriale sarà sempre più costoso di quello prêt-à-porter, ma in certe occasioni non vi si può rinunciare.

Tiriamo le somme

Dispiace sentire spesso il trust citato o consigliato come improbabile scudo difensivo del patrimonio. In questo modo si sbaglia due volte: consigliando male le persone e limitando la sua comprensione e diffusione.

Il trust è invece uno strumento complesso, articolato e – soprattutto – efficace. Può cambiare la prospettiva di famiglie e imprese, garantendo una gestione programmatica del patrimonio nella lunga scadenza, con la duttilità necessaria a tenere conto delle esigenze e delle condizioni particolari dei beneficiari, senza incappare nella rigidità di altri strumenti.

E questo può valere dalle successioni, al diritto famigliare, ai progetti di beneficienza, passando per l’imprenditoria.

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